Oggi chiudono gli OPG: una giornata storica

Martedì 31 Marzo 2015 2099

La strada che ha portato a questa svolta storica è stata tortuosa, non priva di difficoltà e resistenze, ma è forte la soddisfazione per aver contribuito alla sua realizzazione.

Dopo anni di proroghe e normative poco chiare, con la legge n. 81 del marzo scorso avevamo infatti stabilito che gli OPG sarebbero rimasti aperti, in via transitoria, per un solo altro anno, funzionale alla loro chiusura definitiva.

E se oggi quel risultato è stato raggiunto, lo si deve principalmente alla bontà di quell'intervento normativo, perché quando accettammo di dar luogo all'ultima proroga, vincolammo quest’ultima a delle precise condizioni: la dimissione immediata delle persone non più ritenute socialmente pericolose, con presa in carico da parte dei servizi territoriali; la fine dei cosiddetti “ergastoli bianchi” per cui la misura di sicurezza del ricovero doveva essere assunta solo come extrema ratio e non più reiterata senza obiettiva valutazione sulla pericolosità sociale, che a sua volta non si doveva desumere dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo; la possibilità per le Regioni di modificare i programmi per la costruzione delle REMS (le nuove residenze sanitarie per la cura dei pazienti per cui non risulta possibile la dimissione) al fine di potenziare i dipartimenti di salute mentale e garantire la presa in carico da parte dei servizi territoriali.

Modifiche di sostanziale importanza, che hanno mutato considerevolmente il quadro normativo entro cui superare una volta per tutte gli OPG. Una buona legge, come riconosciuto dalle associazioni che da anni si battono sulla questione, anche perché realizzata attraverso un loro diretto coinvolgimento.

Non corrispondono dunque alla realtà alcune valutazioni lette pochi giorni fa su un quotidiano secondo cui “la legge di proroga si riduce ad un problema di edilizia pubblica e privata, non incrementando la massima applicazione delle misure di sicurezza non detentive e dell’inclusione sociale”.

Sorvolo sull'indecenza dei titoli di alcuni quotidiani (Libero, Il Fatto Quotidiano) ma faccio notare che quando si asserisce con assoluta certezza che negli OPG ancora si scontano gli “ergastoli bianchi”, vuol dire che non c'è volontà di fare vera informazione. Perché - ribadisco - proprio lo scorso anno, abbiamo stabilito che i ricoveri non possano mai più durare oltre il massimo della pena prevista per il reato commesso. Questo inciso non vuole sollevare alcuna polemica in un giorno così importante, ma mi sembra doveroso ricostruire correttamente il percorso che ci ha portato a questo risultato.

Rimangono aperte molte criticità e la stampa fa bene a sottolinearle: solo la metà delle Regioni è pronta ad accogliere gli internati che non possono essere dimessi nelle nuove strutture residenziali di cura (le REMS). Ma se ciò una volta avrebbe rappresentato un problema insormontabile, oggi il tempo dei rinvii è scaduto e indietro non si torna. Questo perché, in caso di inadempimenti delle Regioni, si è ragionevolmente previsto l’intervento sostitutivo dello Stato, attraverso il commissariamento. È indubbio, poi, che serva un attento monitoraggio sulla capacità dei servizi locali di prendere in carico i pazienti dimessi attraverso idonei percorsi terapeutico-riabilitativi individuali, valutando inoltre la possibilità di intervenire con risorse aggiuntive. E non possiamo nascondere anche il rischio che situazioni problematiche possano spostarsi nelle nostre strutture carcerarie, non sempre attrezzate ad accogliere e garantire l’incolumità di rei con disagio psichico. Rimane inoltre aperta la questione del trattamento speciale destinato al “reo folle” dal Codice Rocco, senza la cui modifica rimane difficile evitare gli effetti perversi della logica del doppio binario, che separa il destino del “reo folle” dal "reo sano” o dal “reo affetto da altre malattie".

C’è tanto ancora da fare dunque ma, con la chiusura definitiva degli OPG, oggi si completa un tassello fondamentale nel solco del cammino iniziato oltre trent'anni fa con la legge Basaglia. Come ieri dichiarato da Peppe Dell'Acqua, psichiatra, storico collaboratore di Franco Basaglia, “non resta più indietro nessuno, tutte le persone con disturbo mentale sono ora cittadini a tutti gli effetti: si processano, condannano e, se bisognosi di cure, vengono curati”.

Da questa svolta storica ripartiamo, per costruire nelle nostre comunità risposte concrete al diritto alla cura, alla salute e all'inclusione sociale.